Racconto N. 11 da Fernirosso Weblog: Il tuffo


Sentì sotto le suole il terreno leggermente in discesa e da questo comprese che stava arrivando. Rallentò il passo: non aveva fretta, anzi gli pareva di doversi un momento rallentato, di riflessione, di concentrazione, tutto dedicato a se stesso.
Lungo il sentiero le foglie dei rami gli sfioravano il viso e gli occhi, la bocca erano colmi della loro fragranza. Ma ciò che di più lo colpiva era l' odore della terra, un che di originale, puro, avvolgente, come un forte sentore di umori vitali. Era un odore cui non si dovrebbe rinunciare mai, nella vita, dovunque la vita conduca.
La vita l' aveva portato per strade diverse, sulle vie delle città dove aveva speso i suoi giorni, cercando, sempre cercando, affannosamente cercando di realizzarsi, per accorgersi poi, che quello che aveva ottenuto non era proprio quello che voleva. In ultimo gli sarebbe bastato un respiro più ampio, un occhio più sereno per sentirsi realizzato. Ma li aveva persi nelle lunghe notti lontano da casa, nelle frenetiche giornate di lavoro, nelle ricorrenze dimenticate, nei sorrisi non goduti, nella corsa continua tesa a migliorare il suo stato d' uomo arrivato.
” Lei potrà vivere a lungo ancora, ma dovrà avere molta cura di sé. Dovrà rispettarsi….”
Si era sentito di colpo vecchio e fragile. E non era da lui. Aveva spesso pensato, nel passare degli anni, alla fine fisica, al decadimento e aveva rigettato il pensiero. Lui no. A lui non sarebbe capitato. Lui sarebbe crollato d' un colpo, una sola potente mazzata avrebbe abbattuto l' immagine che s' era costruito. Doveva essere così. Perché la sua forza non poteva tradirlo, fiaccandogli le energie, indebolendogli pian piano il battito del polso, rallentandogli il cuore poco alla volta.
Adesso camminava sui ciottoli, i sassetti del greto che limitava il piccolo lago e sentiva fra il verde la voce della cascatella che lo chiamava. Era per lei che si trovava lì, alla fine.
“Sono qui” le rispose.
Un tempo i ragazzi passavano le estati a salire fino dove la cascata scaturiva per poi lanciarsi nel lago sottostante fra gli spruzzi schioccanti dell' acqua. Che i genitori li sgridassero, li punissero, che a volte le guardie forestali li minacciassero caricandoli in auto e riportandoli di peso a casa, non aveva mai loro impedito di tornare lì, qualche giorno, una settimana dopo. Era pericoloso. Lo sapevano. E quel “pericoloso” faceva la differenza. Li attirava come la luce attira la farfalla notturna.
Ragazzi. Solo ragazzi. Che si mettevano alla prova. E rischiavano l' osso del collo. Nessuno era annegato, nessuno s' era fatto male, sul serio, almeno. Qualche botta, sbucciatura, graffio, un braccio rotto, una caviglia slogata e a casa raccontavano d' esser caduti dalla bici, d' aver fatto un capitombolo mentre scendevano dall' albero, cose così.
Eccola. Argentea, spruzzi ridenti. Il tempo non era passato, per lei. Il primo amore.
Prese il sentiero stretto e ripido che portava immediatamente sopra la cascatella. Ci arrivò ansimante. Non lo ricordava così lungo, così faticoso.
Era in cima ora, sull' orlo. E lì la terra, inumidita, profumava come mai l' aveva sentita profumare. Terra e acqua insieme: il principio di tutte le cose. Una miscela di frammenti imputriditi e di germogli sfolgoranti, di erbe e di foglie, tutto finiva, tutto ricominciava.
Si tolse con calma le scarpe. La giacca, la camicia. Tutto. E rimase nudo nella sua vecchia pelle di uomo che s' era fatto da sé.
Guardò in giù, un istante solo. Si curvò e si lanciò. Fu un volo di un breve attimo poi l' acqua si aprì ad accoglierlo fra le sue braccia, e lui si lasciò prendere e cullare e trattenne il fiato andando giù, verso il fondo, come un peso di piombo. Come avesse una macina legata al collo.
Sott' acqua fantasmi di alghe si attorcigliarono ai ricordi, alle voci, ai pensieri, alle grida di sua madre, alle sfuriate di suo padre, alle parole dimenticate nella borsa del tempo, al ruggire della fiamma, allo sciogliersi del gelo a primavera, alle ore, le ore impazzite che lo portavano sempre più lontano, come una corrente impetuosa.
Si diede una spinta, d' istinto, e rilasciò un poco d' aria, incominciando a risalire, piano, senza fretta. Si lasciò andare a galleggiare sulla superficie, il volto girato al cielo. Il suo cuore malato gli stava parlando. Adesso lui lo sentiva e potevano riprendere il filo del discorso interrotto non ricordava quando né come, per cercare di spiegarsi i perché lasciati irrisolti sulla soglia di casa, sui davanzali fra i vasi di fiori, lungo i parapetti dei ponti, i fossati ai bordi delle strade.
Il suo vecchio cuore malato gli raccontò storie brevi come secondi o lunghe come ere del passato, lo prese per mano, lo incantò con il suo battito prezioso finché lui comprese che quell' ultimo tuffo era stato ciò cui per tutta la vita aveva teso. Voluto con tutte le sue forze.
E alla fine, proprio sul limite dello sgretolarsi in sabbia fine di ogni sassetto, l' aveva ottenuto: inarcarsi nell' aria, precipitare nell' acqua, verde del verde del prato, delle foglie, dell' erba, un attimo di meraviglioso.