

Vorrei scrivere di qualcosa di bello, magari non di particolarmente profondo, ma almeno spiritoso ed insieme aggraziato giusto per far sorridere chi leggerà, ma non mi viene in mente niente di simpatico. Mi scorrono davanti agli occhi immagini strane e confuse, ricordi velati dal tempo, storie che qualcuno mi ha raccontato, un' accozzaglia di colori riveste un' accozzaglia di sensazioni: niente di gratificante.
Sarà l' età. O l' ora tarda. E' notte e sono sola in casa, perché tutti dormono profondamente e perciò sono come assenti.
Non c' é nessuno, solo ombre s' addensano nel corridoio, là dove sfuma la luce dello studio e l' unico rumore é il fruscio dei tasti del computer sotto le mie dita.
Prendono consistenza le cose intorno, mi fissano, ci conosciamo bene, stiamo insieme da tanto tanto tempo, una vita e con alcune ho spartito l' infanzia.
Ne ho avuto cura negli anni, le ho spolverate, lucidate, conoscono la mia mano, sanno dell' amore e del dolore.
Il quadro della sala era di mio nonno, alla sua morte passò a mio padre e poi lo ricevetti io: raffigura un gran prato verde in una giornata di sole, ci sono due figure, un ragazzo dipinto di schiena e una contadinella sdraiata sotto un ombrello aperto a terra a ripararla dal sole e sullo sfondo mucche al pascolo: in famiglia é sempre stato chiamato La vacca. E' un gran bel quadro e ispira tranquillità, serenità, amore per la semplicità perduta in questi anni di ricerca convulsa di una vita migliore.
La vacca rumina davanti ai miei occhi lenta e costante, imponente nella sua appartenenza alla natura.
C' é la cicogna di ceramica alta quanto un bambino di due anni, posata sulla cassapanca, dritta e arrogante con le zampe posate fra foglie di edera lucente e spighe dorate che s' allungano a farle corona e farfalle vi si posano e la chiocciola passeggia insieme alla lucertola : da bambina giocavo con la lumaca, m' immaginavo storie ed erano tutte magnifiche.
Era la mia giungla personale.
Prende vita la grande cicogna e il becco si muove a accarezzare le piume candide.
Parlano le cose nella solitudine della notte, ci si può rispecchiare nell' essenza della loro materia, hanno un' anima, fanno compagnia, irradiano luce, sono benevole e prolifiche di pensieri: se c' é stato un passato, ci sarà forse un futuro e poi che importa? Il futuro dico.
Non si può campare guardando sempre e solo al domani.
E così mi fermo, le dita a sfiorare appena la tastiera e ascolto le voci del passato, dell' oggi appena finito e mi godo quello che é stato e il bello e il brutto mescolati insieme aprono insieme la porta alla speranza.
Non so che cosa sarà domani.
Ma adesso sono qui e i miei dormono e le cose intorno a me cantano, hanno belle voci, che riecheggiano tempeste e cieli sereni, hanno visto tanto delle vite di tanti, sanno che cosa significa stare appesi ad una parete, posate sopra una cassapanca, sanno ascoltare e mi guardano e io le guardo e poi spengo il computer e nella luce dell' alba me ne esco di casa, piano piano per non far rumore, e me ne vado in campagna, là dove inizia la collina a riposarmi, mentre il sole sorge.
Un' altra volta.