Il "Capitano" amava farsi fotografare, con sublime autoironia, tra fondali di cartapesta, camuffato da marinaio, con un pugnale alla cintola

“ Con l’aiuto di tre aneddoti, si può fornire l’immagine di un uomo: in ogni sistema io cerco di mettere in luce tre episodi salienti, e getto via il resto.”
Friedrich Nietzsche, “La filosofia nell’epoca tragica dei Greci.”
“ Il Gange, questo famoso fiume celebrato dagli indiani antichi e moderni, le cui acque son reputate sacre da quei popoli, dopo d’aver solcato le nevose montagne dell’Himalaya e le ricche provincie del Sirinagar, di Delhi, di Odhe, di Bahare, di Bengala, a duecentoventi miglia dal mare dividesi in due bracci, formando un delta gigantesco, intricato, meraviglioso e forse unico.
La imponente massa delle acque si divide e suddivide in una moltitudine di fiumicelli, di canali e canaletti che frastagliano in tutte le guise possibili l’immensa estensione di terre strette fra l’Hugly, il vero Gange, ed il golfo del Bengala.
Di qui un’infinità di isole, d’isolotti, di banchi, i quali, verso il mare, ricevono il nome di Sunderbunds.”.
Col grande fluire del Gange, cominciano I misteri della Jungla Nera di Salgari, il primo incipit del primo libro che io abbia letto e dunque destinato a rimanere per me il Libro per antonomasia, l’incontro con la parola che contiene e insieme crea la realtà.
Salgari applicava il principio primo della letteratura, sancito da Borges, per cui creare significava nominare, e soprattutto la capacità di tradurre l’esotismo in suggestione linguistica.
Così il Gange nella mia immaginazione cingeva tutta la Terra, come il fiume Oceano per i Greci, e creava l’Atlante della mia fantasia, dove si muovevano gli eroici Tremal-Naik con la sinuosa agilità del serpente, per combattere i fanatici Thugs e Sandokan, il ribelle anticolonialista che lottava contro i soprusi degli imperialisti Inglesi, con il ruggito e i balzi della tigre.

Tremal-Naik e la sua tigre addomesticata
Quest’autore geniale era un uomo meraviglioso.
A ogni suo compleanno, per la gioia dei suoi quattro figli, (nell’ordine: Fatima, Nadir, Romero e Omar), faceva alzare in volo un rudimentale pallone di carta riscaldata apostrofandolo con queste parole: “Non sofisticare che sei di carta, parti dalla Madonna del Pilone – dove abitava la famiglia Salgari – e attraversa l’Atlantico!”
Non sofisticare che sei di carta: in questa magica esortazione c’è tutto lo slancio e tutto l’arbitrio che servono a fondare quella costanza speciale tra letteratura e vita, un’energia che è essenziale a trasformare la scienza in avventura.
In quest’aneddoto c’è tutta la vita e l’anima del “Capitano”, come amava farsi chiamare.

Sandokan: all'arrembaggio!
Il secondo aneddoto ci porta a due lettere fatidiche scritte dal Capitano il 22 Aprile 1911.
Salgari è un uomo distrutto dal dolore: in seguito alle ristrettezze economiche e ai debiti contratti per tirare avanti, l’amata moglie Ida viene ricoverata per un grave esaurimento nervoso in manicomio.
Per anni Emilio è riuscito a mantenere la sua numerosa famiglia, sottoponendosi ad un massacrante tour de force letterario, componendo numerose opere, spesso mal rifinite e non limate da un certo stile enfatico, dovuto all’impellenza di dover scrivere in prima stesura senza correzioni.
Gli editori l’hanno costantemente truffato e gli hanno lasciato solo le briciole del suo geniale quanto sfibrante lavoro.
Il Capitano per tener dietro al loro ritmo da catena di montaggio è diventato tossicodipendente del Marsala e di due pacchetti di sigarette al giorno, lui che è sempre stato un patito dell’attività sportiva.
La bigotta e ipocrita società mercantile piccolo borghese che lo circonda, è costretta a comprare a milioni di copie i suoi libri pressata dalle richieste insistenti dei figli; però sui giornali e tramite i suoi barbosi critici accademici gli preferisce Jules Verne, quel pallosissimo scrittore francese che inculca ai ragazzi di osservare la disciplina , le buone maniere e l’ossequio per la scienza e il positivismo (e il colonialismo), mediante i suoi algidi e ipertecnologici Capitani Nemo.
E’ storia nota e la lista sarebbe interminabile: l’apparizione di una grande personalità si accompagna spesso al quadro di un’esistenza tragica, quando non intervenga un temperamento accomodante o vile a preservare l’individuo.
Le nostre società occidentali sono tuttora dominate dai Salieri mediocri, tutti casa, televisione, chiesa e profitto o potere –che è poi un’altra maschera del profitto -, invidiosi di quei pochi Mozart elfici che rallegrano col loro estro la nostra vita, e che pertanto devono essere avvelenati con l’acqua tofana ed eliminati nelle fosse comuni.
Il Capitano Salgari è un esempio clamoroso, rappresentativo, di questo destino.
Ma come traspare dalle sue ultime due lettere, prima di uccidersi a colpi di rasoio come un antico stoico romano, proprio in località Madonna del Pilone,eccezionale fino all’ultimo è il suo pudore, la lotta temeraria, disperata, di chi si sente destinato a soccombere, eppure tenta di mascherare la sua sorte mostrandosi integro, eroico nell’accezione sacrosanta di chi vuol proiettare al mondo un’idea di dignità e fierezza.
Perché in un mondo che tutt’oggi stritola l’individuo, Salgari è stato capace di farci vedere con Sandokan e Tremal-Naik la persona non piegata dal mondo.
Se la persona di Salgari è stata infranta, ciò non dimostra nulla contro di lui.
In cambio egli ci ha lasciato un’immagine diversa dell’uomo, ed è con questa che dobbiamo misurarci noi; e non con la nostra becera cultura televisiva che si compiace di mostrare l’uomo spezzato, vinto, frammentario, in modo che possa confermare il nostro atroce conformismo.
Sia pietà per l’eroe.

Salgari, la moglie Ida e i figli Fatima, Nadir, Omar e Romero.
“ Miei cari figli,
Sono ormai un vinto. La pazzia di vostra madre mi ha spezzato il cuore e tutte le energie.
Io spero che i milioni dei miei ammiratori, che per tanti anno ho divertiti ed istruiti provvederanno a voi. Non vi lascio che 150 lire, più un credito di 600 lire che incasserete dalla Signora Nusshaumer. Vi accludo qui il suo indirizzo.
Fatemi seppellire per carità essendo completamente rovinato.
Mantenetevi buoni ed onesti e pensate, appena potrete ad aiutare vostra madre.
Vi bacia tutti, col cuore sanguinante, il vostro disgraziato padre
Emilio Salgari
Vado a morire nella Valle di S.Martino, presso il luogo ove quando abitavamo in Via Guastalla andavamo a fare colazione.
Si troverà il mio cadavere in uno dei burroncelli che voi conoscete, perché andavamo a cogliere i fiori.”
“Torino, Madonna del Pilone 22/4/1911
Ai miei editori
A voi che vi siete arricchiti colla mia pelle mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che io vi ho dati pensiate ai miei funerali.
Vi saluto spezzando la penna.
Emilio Salgari ”
Il corpo di Salgari, dopo il suo tragico ritrovamento nel fosso da lui sopra descritto, rimase all’Istituto di medicina legale per l’autopsia per tre giorni fino ai funerali.
Tra gli studenti che lo videro, un futuro scrittore, Salvator Gotta, ci porta il suo commosso ricordo.
Quando il carrello con le spoglie del Capitano fu sistemato in mezzo all’aula, il professor Mario Carrara ordinò agli studenti di alzarsi in piedi per onorare il defunto e rivolse loro una breve allocuzione:
“L’uomo che da ragazzi avevamo pensato e amato, bello, forte come i suoi mille eroi generosi e felici di scorrerie sul mare, nei più lontani paesi,vincitori di tutte le più aspre battaglie, alti sui gorghi delle più fantasiose avventure è qui.
Sia pietà per l’eroe.”
La bara del povero e sconfitto Capitano uscì dall’obitorio poco dopo le ore 16 del 28 aprile.
Non c’erano autorità o personaggi illustri ad attenderlo, erano tutti alla grande Esposizione della scienza e della tecnica che si teneva in quei giorni a Torino.
Ma scriverà “La Stampa”, dando resoconto dei funerali salgariani il giorno 29:
“ C’era ieri, poco dopo le 16, all’angolo di via Donizetti e via Esposizione, tutta una folla, UNA GRANDE FOLLA DI GIOVANI: studenti e studentesse, coi loro berretti goliardici e colla bandiera, alunni di varie scuole famose della nostra città; più altri ragazzi del popolo, piccoli artigiani fuggiti dalle officine colle mani ancor nere e il volto affannato, che aveano voluto dare l’estremo saluto all’autore dei libri tanto cari, letti avidamente, la domenica mattina, nella Biblioteca municipale.
Molti avevano i libri di Salgari sotto il braccio, quasi tutti anche dei fiori: una fanciulla bionda, che aveva le lagrime agli occhi, stringeva al seno un gruppo di libri, sulla testa dei quali si leggeva il nome dello scrittore morto.
Dopo il commovente saluto dei figli Nadir, Omar e Romero il modesto feretro di legno bianco è portato a braccio dagli studenti nel carro funebre,e mentre in ogni sguardo brilla una lacrima sincera, centinaia di braccia si alzano al cielo sventolando come bandiere i romanzi di Salgari.
Esplode un grido: “Grazie Capitano” e poi un lungo applauso.”
Sia pietà per l’eroe.
La Tigre è morta, lunga vita alla Tigre!

" Là c'è l'uragano, qui la Tigre della Malesia: chi è il più forte, lui od io?"
Sandokan.