
Maurits C. Escher
Trasmutando aereo
l’ occhio è rivolto all’ oltre
fioritura di farfalle
in un unico gesto
un’ unica mano
basta a far luce alle dita
al graffio quotidiano che
essenze concilia mutilate.
Mi pongo sul palmo della mano.
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Susan Kae Grant
scivola l’ ombra dalla spalla e
segue il braccio, si
ferma al gomito
allunghi un dito e la levi
sulla punta del mignolo
la guardi in trasparenza
all’ occhio la porti
un velo
che offusca la luce
una trama di grigio che s’ insinua
sotto l’ iride
e aloni si pongono intorno
cerchi su cerchi
indistinta la voce ricalca il battito delle ciglia
nell’ ombra.

Annunciazione, Hermitage, San Pietroburgo
Dopo Bellini e il Carpaccio – e prima di Giorgione – il pittore prediletto dai veneziani fu Cima da Conegliano: «Ciò non deve stupire, nessun maestro del tempo seppe rendere al pari di lui l’atmosfera argentea che leggera e ampia bagna il paesaggio italiano». Palazzo Sarcinelli a Conegliano (TV) sarà il centro di uno degli eventi d’arte più attesi dell’anno: la mostra (dal 26 febbraio al 2 giugno 2010) dedicata a Giovanni Battista Cima (1459/1460 – 1517/1518) maestro che, per circa un ventennio, fu ai vertici della pittura sacra in laguna. A quasi cinquant’anni dall’esposizione allestita da Carlo Scarpa a Treviso, e a oltre un quarto di secolo dalla fondamentale monografia di Peter Humfrey, l’amatissima città natale propone, dunque, un’esposizione senza precedenti. Una mostra in grado di ricostruire la vicenda artistica di Cima, sottolineandone il ruolo fondamentale, per tutto il corso degli anni Novanta del Quattrocento. Dalla preponderante produzione incentrata sulle rappresentazioni sacre, testimoniata da una scelta ristretta ai principali prototipi della devozionale “Madonna con Bambino”, all’importante produzione mitologica – in alcuni casi orientata alla creazione di cassoni nuziali – fino alla grafica, con l’esposizione delle decine di fogli attribuiti, nel corso dei secoli, al misterioso e amatissimo pittore.
Da: www.ilsole24ore.com

Immagine di Taarke
s’ annuncia l’ inverno di
freddo vibrante
con gelidi sbuffi dai tetti
il gelo consolida in aria le cose
che sgusciano piano dalla mano
cadono e s’ infrangono a terra
cricchiano i passi della semina
invernale
dei pensieri che la terra in silenzio
accoglie
stanno le bestie nel folto
terso è il cielo e vetroso
abisso di silenzio assoluta
assenza di rumore
ma la bisaccia è appesa al chiodo
ho i semi pronti da
spargere a piene mani, li
custodisco fragranti nel sacco che
risuona di soli precoci e trasuda
il profumo di erbe, di voli
a venire
voti
rinnovati.
Gli Angeli

di
Czeslaw Milosz
Vi hanno tolto le vesti bianche,
Le ali e perfino l’esistenza,
e tuttavia io vi credo, messaggeri.
Là dove il mondo è girato a rovescio,
Pesante stoffa ricamata di stelle e animali,
Passeggiate esaminando
i punti veritieri della cucitura.
La vostra tappa qui è breve,
Forse nell’ora mattutina,
se il cielo è limpido,
In una melodia ripetuta da un uccello,
O nel profumo delle mele verso sera
Quando la luce rende magici i frutteti.
Dicono che vi abbia inventato qualcuno,
Ma non ne sono convinto.
Perché gli uomini hanno inventato
anche se stessi.
La voce -senza dubbio questa è la prova,
Perché appartiene a esseri
indubbiamente limpidi,
Leggeri, alati (perché no?)
Cinti dalla folgore.
Ho udito sovente questa voce in sogno
E, cosa ancor più strana,
capivo pressappoco il dettame
o l’invito in lingua ultraterrena:
E’ presto giorno.
Ancora uno.
Fa’ ciò che puoi.

Isaia: L’ Emmanuele
Un ramo uscirà da la radice di Jesse
e sul ramo sboccerà un fiore,
su cui poserà lo spirito del Signore:
spirito di saggezza e di intelligenza,
spirito di consiglio e di forza,
spirito di scienza e di pietà,
spirito di conoscenza e timor di Dio.
Non giudicherà secondo le apparenze
e non condannerà per sentito dire;
giudicherà i piccoli secondo giustizia
e darà il loro diritto agli umili della
terra;
colpirà la terra con la verga della sua
bocca
e ucciderà il tristo con l’alito delle sue
labbra.
La giustizia sarà cintura ai suoi
fianchi,
la Fede cintura ai suoi reni.
Il lupo abiterà con l’agnello,
la pantera riposerà col capretto;
il vitello, il leone, il bue vivranno
insieme
e li condurrà un giovine fanciullo;
la vacca e l’orso avranno un pascolo
solo
e i nati loro un solo rifugio,
e il leone mangerà la paglia come il
bue…
In quel giorno la radice di Jesse
sarà innalzata come bandiera agli
occhi dei popoli,
e le nazioni la pregheranno;…
il suo soggiorno sarà glorioso.

Quadretto natalizio
di
Gabriele D’ Annunzio
La notte era senza luna; ma tutta la campagna
risplendeva di una luce bianca ed uguale,
come nel plenilunio, perché il Divino era nato.
Dalla capanna lontana i raggi si diffondevano
nella solitudine; e la bontà che da quella cuna
si diffondeva intorno coi raggi era tanta, che
le terre ricoperte di neve parevano fiorite di rose,
e come un immenso rosaio odoravano nella
notte. Il bambino Gesù rideva teneramente
tenendo le braccia aperte verso l’alto come in
atto di amore: e l’asino e il bue lo riscaldavano
del loro fiato che fumava nell’aria gelida, come
un aroma sulla fiamma.

I Magi
di
Giovanni Papini
I Magi non erano Re, ma erano
i padroni dei Re. Nessun Re avrebbe mosso
guerra senza averli ascoltati: essi sapevano
tante cose. Era giusto, dunque, che
venissero ad inchinarsi dinanzi a Gesù.
Dopo le bestie che sono la Natura, dopo i
pastori che sono il Popolo, questa terza potenza,
il Sapere, s’inginocchia alla mangiatoia di
Betlemme.
Era giusto.

Tom Chambers, Night light
Ci si era arrivati un’ altra volta. Sì, era di nuovo Natale. Insomma, non natale nel senso del giorno di Natale, ma nel senso del periodo di natale, quando la città di sera si accende di luci colorate che incorniciano le entrate dei negozi e addobbano i monumenti del centro storico, quando i babbi natale scampanellano agli incroci, sorridendo ai bambini, con gerle piene di caramelle minuscole e il caldarrostaio all’ angolo dove via Indipendenza sbuca in Ugo Bassi, proprio dietro la schiena del Nettuno, chiama i passanti, insistente, con il profumo dei marroni arrostiti.
Bene. Ci si era. A Natale. Che poi, a ben guardare, a lei che fosse natale non ne poteva importare di meno. Non cambiava una grinza. C’ era la rottura di dover fare la spesa per tre giorni infilati. Per il resto, tutto come sempre. Non accettava che, poiché era natale, tutti dovevano, sì, dovevano, avevano il preciso dovere d’ essere felici, quantomeno contenti e … buoni. Una pirlata. Da bambini. Ecco, giusto: per i bambini poteva essere una bella cosa, papà natale, le renne, i regali, Gesù Bambino, la mucca e l’ asinello, i pastori sotto il cielo stellato di un paese lontano (mica tanto, poi, si potevano sentire gli echi degli spari, si potevano). Ma sì. I bambini si incantano con facilità. Per i grandi tutto si risolveva in una corsa per negozi. A spendere più di quanto ci si potesse permettere, a progettare vacanze in montagna o in qualche paese caldo. Quelli che stavano a casa, si buttavano su pranzi da otto portate, panettoni, pandori ad addolcire vecchi dissapori famigliari destinati a confluire, intatti, nel nuovo anno.
Stando così le cose, lei ci aveva dato su alle celebrazioni natalizie un bel tot d’ anni prima. Quando il figlio ormai cresciuto non aveva più richiesto l’ allestimento del presepe in casa, sotto l’ albero comprato al mercatino dei pini e aveva invece chiesto i soldi per andare a sciare con gli amici. Non ne era rimasta dispiaciuta e tantomeno stupita. Riteneva che fosse giusto così. Lei lo sapeva bene che cosa vuol dire essere giovani, sentirsi compressi e strizzati fra i “no” di una famiglia che, per il tuo bene e poiché ti vuole bene, vuole che tu santifichi “in casa” ogni ricorrenza, ogni festa comandata e non. Ne portava i segni. Ancora. Nessuno e niente glieli avrebbe più tolti.
Lo sapeva che di lei dicevano che era strana, queste erano le voci gentili, chiusa, queste le voci dei parenti psicologi dilettanti, antipatica e egoista dicevano i detrattori. Non le importava. Anche perché, pensava, ci aveva provato a essere famigliarmente idonea, ma c’ era sempre chi non coglieva il suo sforzo di buona volontà o non lo riteneva sufficiente e trovava da ridire. Così li aveva mandati a quel paese in mucchio e si era reimpossessata della sua individualità. Buona o cattiva che fosse.
Era, pensò, un natale senza neve. E meno male. Ci mancava di dover sguazzare nella poltiglia nerastra che è la conseguenza immediata delle nevicate in città. Faceva freddo. La gente passava avvolta in pellicce, in montoni, in lunghi giubbotti imbottiti, rivestiti di tessuto in microfibra. Dalle vetrine occhieggiavano guanti, sciarpe, berretti, stivali. Un negozio esponeva lingerie sottile e spumosa: rabbrividì e passò oltre. Stava tornando a casa dall’ Istituto di ricerca, dopo un altro pomeriggio speso, appunto, a far ricerche con un manipolo di colleghi “strani”, chi più, chi meno, come lei. Ci stava proprio bene, all’ Istituto, come un pisello nel baccello, un insetto nel bozzolo, al caldo, al sicuro insomma. Era ormai sera quando era uscita, e nel buio di dicembre, quando il buio arriva così presto che ti chiedi se mai c’ è stato il giorno, si era diretta alla fermata del 27B. Pieno centro. Folla. Luci elettriche. Automobili. Motorini. Ancora folla. Giovani, vecchi, giovanissimi, mezza età, di tutto un po’.
La vide fra la gente. Veniva avanti con passo abbastanza sicuro e sguardo del tutto smarrito. Una donna alta. Anziana. Capelli grigi, alle orecchie, un po’ scompigliati, come dopo una dormita. Occhi grigi, un po’ fissi. Fronte alta, pelle vizza, Bocca dalle labbra rientranti, niente denti. Un foularino leggero al collo, un cappottaccio addosso. Un paio di Clark’ s sbertucciate ai piedi, una borsa a sacco sulla spalla. Camminava. Verso, pareva, un punto. Poi, come avesse perso contatto con quel punto, si girava, tornava indietro. Si guardava intorno: cercava. Qualcosa. Qualcuno.
Non la vedeva nessuno. Le facevano largo, sì, ma non la vedevano. In tutta quella luce artificiale. Proprio come non ci fosse. E lei continuava il suo andirivieni imperterrita. Non dava l’ idea della miseria, ma di qualcosa di diverso e di più, aveva addosso un’ aria di abbandono che colpiva, faceva dolere l’ animo dentro, in profondità. Faceva venir voglia di andare verso di lei, di salutarla, stringerle la mano, cose così. Solo a poterla vedere. A un certo momento attraversò la strada. Lei la seguì con gli occhi fin che poté mentre la donna camminava sull’ altro marciapiede, finché la folla non la strinse tanto da inghiottirne la sagoma, sfumarne i contorni. Era sparita.
“Natale. Tsé!” si trovò a dire a mezza voce. Il 27B era in arrivo. Presto sarebbe stata a casa. Senza albero, senza presepe, senza candele rosse. Perché a lei che fosse natale non poteva importare di meno. Avrebbe scaricato la posta e ci avrebbe trovato, inevitabilmente le prime postcard d’ auguri, cui, regolare regolare, non avrebbe risposto. Nei giorni seguenti nessuno al mondo le avrebbe telefonato per chiedere: “Cosa fai per natale?” Ed era meglio così.
Lei, per natale avrebbe messo su un CD di un suo amico compositore, certo Dante, che faceva una musica che lei sentiva particolarmente congeniale e avrebbe scritto qualcosa, magari sul natale, magari su quella donna alta, squadrata, di carne e di ossa a cui avrebbe voluto stringere la mano, l’ unica persona a cui, in tanti anni, si era sentita sul punto di dire: “Buon Natale.” Chissà perché.
Un augurio sincero. Sentito. Vero. E non ne aveva fatto niente. Da quella cretina che era.
Il 10 dicembre 2008 usciva il primo articolo di
Cartesensibili
luogo di incontri, di letture, di proposte, di cultura,
di umanità nel senso più compiuto del termine.
E’ una data che desidero ricordare e festeggiare
poiché ha segnato l’ inizio di un percorso di arricchimento e di stimoli, denso di sfaccettature, aperto a contributi di estrema valenza e di grande impatto artistico ed umano come ben si evidenzia dai versi di Fernanda Ferraresso quasi programma o sintesi o motto dell’ iniziativa:
©Silas Toball

cercherò in ogni luogo
e in ogni uomo
le parole e i segni con cui vive libertà
*
T r a i doni
d a i nodi
dmk
§§§§
Cartesensibili, di Elina Miticocchio
Non viaggio molto ma quando ciò accade non devono mancare le mappe stradali.
Ricerco luoghi popolati fittamente da voci che possano parlarmi dell’uomo.
Un anno fa ho scoperto, viaggiando da ferma, delle mappe particolari e utili per esplorare i diversi territori quotidiani.
CARTESENSIBILI come luogo che apre la mente, promuove le idee, la lettura, l’arte che è bellezza, osservata da sguardi diversi.
Un territorio aperto all’osservazione, senza tacere ma dando voce chiara e precisa, a ciò che accade
nel nostro mondo-pianeta: nella scuola, nei teatri, in piazza, per le strade, nelle fabbriche, tutti spazi che mostrano l’uomo.
Attraverso la libertà di leggere o non, di condividere o meno, ho compreso la necessità di una mia responsabilità, dovevo svolgere il compito del lettore.
Prendendo visione dei segni, dei graffi incisi sulle pagine dovevo farmene carico nel mio piccolo oggi che pratico.
Auguri a tutta la redazione di
http://cartesensibili.wordpress.com
http://cartesensibili.wordpress.com/2009/12/09/perche-e-come-diventare-socio-
Un “pensiero” di Vobo
Immagine da Flickr
Pittore, dipingi il mio cuore
con i colori dell’autunno
ed attenua i più vivaci
con le mie lacrime.
Intingi il tuo pennello
nella tempesta,
per rappresentare
il cielo della mia anima.
Il resto della tela
lascialo in bianco,
per descrivere
il vuoto che mi circonda.

Holly Roberts, Bird with nest
richiamo la voce e la prendo
al volo
fra le mani la stringo
la voce
rauca
che s’ agita e scalpita
la stringo
la premo alla gola
spalancato abisso
di suoni
di note
di sillabe
che rivestono pareti in ragnatele
luminose
setose geometrie
della mente,
girovaga fra
immensi orizzonti stesi al limite
del pensabile e l’ angolo oscuro
dove calda l’ allodola s’ annida.
Rilascio le dita e la voce s’ incrina
geme stranita
poi vola.