Notturno
Fotografia da Flickr
fra due pietre
rosse
il grido del pazzo
oltre il
limitar del bosco
notturno spettro
braccia desolate
nella landa
detriti
a valle
corrono
ombre
come di ricordi.
Fotografia da Flickr
Una poesia di Carmen di Lorenzo
Fotografia di Josephine Sacabo
Visse in me da clandestina
per l’erosione del dolore o
per l’aurora di una gioia.
Fu indulgenza e vittoria.
Fu luce e penombra.
Fu la mia ossessione.
Il morso della sua esistenza
era il succo che avvelena,
l’emorragia di un flusso
che finisce con un amen
e poi è armonia.
La convivenza nostra pareva
coercizione,
invece fu la complicata
coesione di due opposti.
La sofferta perfezione
(che invocata, mai arriva).
Lei pagata sotto costo
senza il passaporto l’identià
non rivelava
e ricamava di nascosto
la bellezza del poema,
mi ammoniva.
Così divenne da abusiva
la mia padrona (e maestra).
Vivemmo, sopra il tempo
in un castello di percezioni.
Una poesia di Marzia Serra
Fotografia di Josephine Sacabo
Chiodo l’assenza all’angolo del cuore
dove si appendono giorni dismessi,
notti d’inquiete lune
e canapi di grida imbavagliate.
Un calco conserva il silenzio,
un vuoto di presenza,
voci in frantumi,
schegge di respiro.
Io come sempre spolvero memorie
rammendo versi e non mi basta il filo,
scosto le tende a sera, frugo il buio…
ma proprio non mi riesce d’abituarmi
ai cambi di stagione
alle formiche in fila lungo il muro
all’orologio che scandisce il tempo
nella quiete di sempre.
E’ ciò che ho trattenuto
il feto morto che mi porto in grembo.
Alessandro Papetti, Il cerchio del Bosco
Tre grandi dipinti circolari, otto metri di diametro per ogni struttura, nel cuore di Palazzo Reale, all’interno del cortile. Una collocazione insolita per un’opera d’arte, che rappresenta ’Il ciclo del tempo’, installazione di Alessandro Papetti. I tre grandi ‘ambienti pittorici’ sono creati in modo da lasciare entrare il visitatore al centro dell’opera. Tre cerchi dedicati all’acqua, al bosco e al vento, con un richiamo ideale ad alcuni dei cicli più celebri della storia dell’arte. L’artista ha lavorato ai dipinti per oltre un anno all’interno del suo ‘atelier’, un grande capannone in Corso Lodi. Ma Papetti covava il progetto da tempo. Da almeno dieci anni. L’iniziativa è la prima di un progetto che collega le esposizioni di arte antica e moderna con la sensibilità di un artista contemporaneo. L’installazione di Papetti dialoga idealmente con la grande mostra ‘Monet. Il tempo delle ninfee’, a Palazzo Reale fino al 27 settembre.
Quando
Giornaliero dal 05/09/2009, 09:30 fino al 20/09/2009, 09:30
In un anno reso difficile da crisi economiche e calamità naturali Milano e Torino hanno continuato coraggiosamente a programmare il loro festival nella convinzione che le strategie culturali, accolte nelle scorse stagioni dal pubblico con tanto entusiasmo, rappresentino per lo sviluppo civile del paese un’innegabile priorità.
Per imparare a vivere in una società multiculturale nella quale le differenze si traducano in occasioni per approfondire le nostre conoscenze, nulla è più adatto della musica: ecco dunque che MITO SettembreMusica, fin nel giorno della sua conferenza stampa, presenta l’Orchestra Sinfonica del Qatar diretta da Lorin Maazel. Le differenze intese come occasioni di arricchimento culturale sono però numerose anche all’interno della nostra storia; lo sanno bene gli abitanti di Torino e Milano che nel periodo del festival scoprono le sembianze quasi infinite che la musica ha assunto nel corso dei secoli.
Cominceremo giovedì 3 settembre a Torino e venerdì 4 a Milano con l’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo impegnata in un vero e proprio festival Prokof’ev il cui scopo è riportare al centro della scena una delle grandi figure musicali del secolo scorso sulla quale è calato negli ultimi anni un velo di leggera disattenzione. Il Novecento ce lo siamo appena lasciati dietro le spalle ma la materia meravigliosa e spesso tragica nella quale è forgiato ancora aspetta di essere conosciuta con sufficiente obbiettività.
L’attrazione più forte che il festival MITO SettembreMusica è in grado di esercitare consiste però nel mettere il pubblico di fronte a continue scelte: musica del nostro tempo o antica, teatro musicale barocco o contemporaneo, orchestre sinfoniche o solisti, musica di etnie lontane o liturgie musicali cristiane? Il dilemma fondamentale è tra l’ascoltare quello che già si conosce o quello che ci è ancora ignoto: abitudine o avventura culturale? Incoraggiare l’una non significa deprimere l’altra, poiché a viverla ogni giorno questa alternativa produce una definizione più consapevole del nostro ruolo nella società.
Eccoci dunque a proporvi una sequela di istantanee musicali sul Giappone con l’Orchestra Imperiale di gagaku e il teatro Nō, le polifonie sacre di Palestrina e di Dufay, i festeggiamenti per gli anniversari plurisecolari di Haydn, Mendelssohn-Bartholdy, del Futurismo e perfino di Abraham Lincoln, personaggio al quale i compositori hanno rivolto non di rado la loro attenzione. Vorremmo invitarvi ad ascoltare alcune fra le migliori orchestre del mondo coi loro celebri direttori, a scoprire la musica del nostro tempo attraverso le opere di Hosokawa, Manzoni, Dufourt, Mantovani, Daugherty, Filippo del Corno e tanti altri compositori che potrete conoscere meglio anche attraverso conferenze e dibattiti.
Se al piacere di ritrovare le abitudini musicali che ci sono più care si aggiunge l’emozione della scoperta, della discussione e dell’approfondimento, allora il Festival raggiunge il suo scopo: è con questa convinzione che desidero augurare agli abitanti di Milano e Torino e a tutti coloro che verranno da lontano per partecipare alla nostra grande festa musicale buon ascolto.
Enzo Restagno
Direttore Artistico
http://www.mitosettembremusica.it/
Immagine di luigitosolin
L’ angolo dove stava l’ apparecchio tv era all’ ombra. Il resto della stanza era in piena luce. Risultato: un caldo boia.
L’ uomo, in boxer stropicciati, stravaccato su una poltrona di velluto marrone, sudava come se avesse da buttar fuori tutta l’ acqua del mondo. Guardava la tv e passava da un canale all’ altro, “navigava” per i canali, sparando raffiche di zapping selvaggio. Dalla finestra aperta si riversavano nella stanza luce a fiotti, caldo a ondate e odore di pesce, quest’ ultimo rifluiva dal ristorante ‘Mario, specialità pesce fresco’, al piano terra del palazzo.
L’ uomo allungò una mano e prese una lattina di birra dal tavolino accanto alla poltrona. Ne mandò giù una sorsata. Fissò lo schermo come se avesse alla fine trovato un programma che lo interessasse. Allentò il polso, senza però mollare il telecomando e rimase a guardare una tizia che parlava di ricette: tonno in casseruola.
“ Troia” commentò lui.
Bevve un’ altra sorsata di birra. Agli angoli della bocca si formarono due brevi rivoli biondi.
Suonò il campanello della porta. Lui non mosse un pelo. Hanno suonato? Certo che no.
Perché infatti qualcuno avrebbe dovuto prendersi la briga di suonare alla casa della sfiga?
E dunque! Hanno suonato ancora.
Si alzò e incazzato gridò verso la porta: “Chi è?”
“Apri, Amos. Dai…”
E lui aprì, una fessura di un 10 centimetri da cui intravide una gamba abbronzata, una gonnella bianca, un top pure bianco, una spalla abbronzata come la gamba, un mento deciso, l’ angolo di una bocca non più giovane e un occhio azzurro, vecchio come il mondo. Gli bastò.
“ Va’ a fare in … “ urlò e intanto spalancò l’ uscio.
“ Il solito signore” disse lei.
“ Cosa vuoi?”
“Vedere come stai…”
“ Che te frega?”
“Siamo amici e fra amici…”
“ Amica della troia sei! Ti ha mandata lei?”
“ No, volevo vedere se potevo aiutarti…in un qualche modo…”
“No. T’ ho chiesto d’ aiutarmi, io? Non mi pare. Io sto bene. Benissimo. Solo come sono, finalmente. Diglielo alla troia.”
“Mi fai entrare?”
“Perché?”
“Dovrei prendere due cose…”
“Questo allora! Mi pareva! Si è scordata dell’ altro?”
“Senti, sono solo due o tre cosette…”
“Ma fa’ quel che ti pare! Prendi quel che ti pare! E poi sparisci!”
Sbatté con forza il battente mandandolo contro il muro dello stretto corridoio che faceva da ingresso.
“ Ma perché tieni tutto spalancato? Entra tutto il caldo così…”
“ Ma perché non ti fai gli affari tuoi? Non ti passa per la testa che a me va bene così?”
“ Ma se lo sanno tutti che odi il caldo! “
“ Adesso no. Son cambiato. Le persone cambiano, non lo sai? Adesso mi sta bene il caldo. Ci sto come un papa a fare la sauna in ‘sta casa che pare ci abbiano rubato ogni cosa e invece è solo che la stronza ha fatto man bassa di tutto e come abbia fatto in una mattina a portarsi via tutto non lo so…l’ hai aiutata tu? Certo che l’ hai aiutata tu. L’ amica del cuore! Quella sempre fra i piedi che ormai ci stava in mezzo anche quando andavamo a letto…Glielo hai consigliato tu di mollare questa bestia di marito e di scappare con quell’ altro gonzo? Tu? “
“Anche se ti dico di no, mica ci credi” fece lei.
“ No che non ci credo. Tutte uguali, voi. Tutte brave e buone e tutte un sorriso finché le cose van per un certo verso. Ma poi, appena il vento tira da un’ altra parte, appena vi stancate, solo musi e lamentele da tirar sberle e poi…”
“ Mica tutte…”
“ Tutte.”
“ Allora prendo due cose. Va bene?”
“ No che non va bene. Non c’ è rimasto più niente qui. Che cosa vuole ancora? La poltrona? La tv? Il materasso? Dico, anche la statuetta del crocefisso s’ è portata via! S’ è scordata un qualche abituccio? Beh, a quelli che s’ scordata può dire addio, perché son finiti nell’ immondizia. Dritti dritti nell’ immondizia. Guarda, vai a guardare…niente più vestitini per la pupattola in fregola.”
“Va bene, ho capito. Vado in cucina, un attimo.”
“ A far che? Vuole la pentola a pressione? Una casseruola? Non dirmi che s’ è messa a far da cena a quell’ altro! Lei che aprire una scatoletta era proprio il suo massimo. Faceva fatica anche solo a scongelare un pezzo di merluzzo…Vai, vai.”
In cucina regnava un disordine sinistro, perché pareva voluto, cercato con cattiveria, astio e perseveranza. La donna andò al frigo, lo aprì, allungò una mano verso l’ angolo superiore e proprio dal fondo trasse una scatoletta bianca, un vasetto.
“ Cos’ è?” Fece l’ uomo dalla porta
“ Niente. Sì, insomma, niente d’ importante, solo una crema. Per il viso. “
” In frigo?”
“ In frigo.”
“ Hai finito?”
“ Vado.”
“ Brava.”
“ Senti, perché non facciamo due parole? “
“ Io e te? Scherzi, vero?”
“ No, dico sul serio. Due parole. Soltanto. Guarda, facciamo un po’ d’ ordine sul tavolo, sposto questi piatti, butto queste cartacce, mio dio, ma la pattumiera è piena, fa lo stesso, ci stanno, beviamo una birra insieme, vuoi? E facciamo due parole. “
L’ uomo la guardava trafficare per la cucina, fare un po’ di largo, passare un pezzo di scottex inumidito sul piano del tavolo, prendere due bicchieri, era un miracolo che ce ne fossero rimasti due puliti, prendere una lattina di birra dal frigo, clic, aprirla, versarla nei bicchieri.
“ Ci sediamo?” chiese lei
Lui sedette. Lei pure dall’ altro lato del tavolo, di faccia a lui.
Fu in quel momento che lui incominciò a sentirsi strano. La guardava e la odiava, vecchiaccia che di diventar vecchia non ne voleva sapere e faceva jogging, andava in palestra, si vestiva come se fosse ancora una giovine di primo pelo e invece quanti anni aveva, quaranta? Certo una quarantina: n’ era passata d’ acqua sotto i ponti da quando era stata di primo pelo, quanta ne era passata!
“Se le guardi gli occhi, le dai anche più anni” pensò. Chissà perché, si chiese.
Comunque la odiava. Era lei che aveva messo in testa a quell’ altra tutte quelle storie, che l’ aveva convinta che una donna deve essere, che cosa? Una che si fa rispettare, che fa i comodi suoi, la libertà è sacra, anche se è sposata, non cambia niente, le donne devono realizzarsi, hanno diritti e diritti, il marito è un ostacolo, se brontola perché si sente messo in disparte, peggio per lui, se non fa il complimentoso è uno zotico che non ti merita, se poi gli affari vanno male e c’ è da stringere la cinghia, allora è solo un sozzo tirchio che non merita un briciolo di considerazione. Lei. Era stata lei. Fino all’ ultimo atto: quando in vacanza le aveva presentato quel bel tomo tutto denti bianchi rifatti, con tanto di catena d’ oro che pareva uno di quelli che ti consigliano i vini nei ristoranti come si vede in tv e lei c’ era cascata.
“ Non sono stata io. “ disse la donna “Capisci, non sono stata io. “
Lui bevve un sorso di birra. Sentiva il sudore farsi freddo sulla pelle nuda.
Pensò “Sono in mutande. “
“ Non sono stata io, anche se non vuoi crederci. Eravamo, siamo amiche. Ma io non l’ ho spinta. Le ho detto: pensaci. Le ho detto: ma lo sai bene quel che fai? Ma era tardi, Amos. Era tardi. Si sentiva stanca della vita che faceva.
Era stanca di tutto. Voleva cambiare. Forse, se aveste avuto dei figli, sarebbe stato diverso. Ma così, voi due che appena uno apriva bocca, l’ altro gliela chiudeva…Era solo stanca. Capita.”
Lui taceva. Non pensava neanche.
“ Mi dispiace.” Continuò lei ”Per lei che non so che fine farà, per te, che, anche se mi hai sempre trattato come una disgraziata e forse lo sono, sei una brava persona, come avrei voluto incontrare quando era il momento giusto, mai che mi sia capitato: pareva che attirassi solo i disperati, fregnoni, sfruttatori, gente così insomma. L’ ho sempre invidiata perché aveva trovato te, sai?”
Lui la guardò. Stranito. Una cosa come un groppo gli stava dentro che manco riusciva a capire.
“ Ma va’ là…” fece
“ Davvero. Vorrei che tu non dessi la colpa a me. Vorrei che ti tenessi su, non lasciarti andare a ‘sta maniera, non ne vale la pena…Può ancora tornare. Anzi, vedrai che torna.” Disse decisa.
“ E ti credi che io la riprendo? Sono un tipo fatto a quel modo, per te? Io non riprendo nessuno. Se ne è andata. Un fallito, ha detto che sono. Uno stupido, ha detto. Bene. “
La donna si alzò dalla sedia, prese il bicchiere e lo sciacquò sotto il rubinetto, lo ripose capovolto sul piano del secchiaio.
“ Vado. “ disse e s’ avviò alla porta.
“ Luisa.” Chiamò lui
“ Che c’ è?”
“ Ti sei dimenticata quella… crema.”
“ Già. “
Prese il vasetto.
“ Ciao” fece
“ Ciao” fece lui.
La sentì uscire dalla cucina e camminare nel corridoio che faceva da ingresso. Ascoltò il rumore dei suoi passi che si avvicinavano alla porta.
Lei aveva la mano sulla maniglia e stava per aprire, quando lui la prese per le spalle e la fece girare su se stessa.
“ Fammi vedere i tuoi occhi. “ disse
Guardò due iridi chiare, immerse in una rete di rughe sottili e dentro qualcosa cedette sciogliendosi come un blocco di ghiaccio che il sole d’ agosto fa squagliare. Si chinò su di lei e cercò la bocca non più giovane, la trovò, la baciò, lasciandosi andare ad una corrente di rimpianti, di delusioni, di smarrimento sconforto conforto che non voleva capire. Tanto ci sarebbero voluti secoli per capirci qualcosa.
“Luisa.” disse
“Amos.” disse lei.
Le loro voci erano basse, i nomi appena sussurrati, la stanza era rovente. Alla tv passavano immagini di pubblicità, Venite in vacanza a….Volate con…, cose così.
Jerry Uelsmann, Free spirit
c’ è sempre
quel filo di sole che stende
all’ abbraccio la luce,
che limpido l’ occhio
trafila,
calore colore nella pelle
sotto l’ unghia che scava – profonda -
la sabbia in cerca
del nocciolo rimasto bambino.
Il seme.
Il fantastico mondo di…Clark & Pougnaud
Dal 3 Ottobre al 13 dicembre 2009, in esclusiva italiana presso lo spazio PaciArte contemporary di Brescia sarà possibile ammirare le opere dei due artisti francesi.
Citando la solitudine americana di Hopper, gli artisti francesi Clark & Pougnaud evocano quella
contemporanea, realizzando delle immagini straordinarie.
Non è solo al pittore statunitense che i fotografi si ispirano (”Hommage à Edward Hopper”), ma anche ad altre storie (”Dorathy et l’enfance”) che raccontano quei momenti di solitudine che l’essere umano incontra quando si confronta con la vita, dall’infanzia alla maturità piena.
Da: http://mag.sky.it
http://www.artsblog.it
Una poesia di Vobo
Fotografia di Bruno.Campes
Il suono lontano di campanacci
segnala, nel tardo vespro,
l’inizio, del rito antico, della transumanza.
Lento il gregge
percorre la strada polverosa
del paesino montano.
Nella sera il suono delle ghironde
accompagnerà, con un bicchier di vino,
i canti tramandati dai padri.
Domani, all’alba, riprenderà il cammino
verso gli alti pascoli che l’arrivo dell’estate,
inonderà con il profumo delle viole.
Steven Kenny, ”The Perch IV”, 2006
Nel sole, come isola
sfuggente alle correnti,
lunghe frange distendo
in braccia di coralli,
verdeggiante radice
dall’ inverno recisa
figlio intrecci di colori estivi
rigogliosa scendo dalla
collina al mare, sabbia
divento e riflesso d’ acqua,
conchiglie fiorite alle caviglie
cantano l’ onda,
alle spalle
dissolti se ne vanno il tuono
il vento e la burrasca, e
io, erbario rinnovato,
danzo calde parole
dal profumo
di sole.