
duy huynh, Escape into life
richiamo le stelle
sulla punta delle dita
nel palmo la luna
piena, questa sera che abbuia
e la mente riveste di silenzi rituali
le ombre camminano lente e portano lingue – segmenti intraducibili -
venute da galassie splendenti perse alla conoscenza
lieve la luce stellare e fioco il pulviscolo
che piove sui campi
piange la notte – ogni notte – nel respiro dell’ erba
inargentata
intreccio di parole
germogliate notturne e incomprensibili.

duy huynh, Floating meditation
sotto il cielo
rasserenanti nuvole rosate come fiocchi che galleggiano in remoti tramonti
sotto il cielo
la terra bruna a solchi rigogliosi in attesa della notte e dei suoi fermenti
sotto il cielo
l’ uomo e l’ impronta di generazioni nei secoli sorrisi sospiri menzogne verità amore e odio
vita e morte
si srotola l’ intreccio delle strade in meandri invisibili all’ occhio
graffiti incisi in antiche caverne dove ancora risuona il ruggito del primo fuoco
si dipana la matassa dell’ anima
delle memorie fertili e sterili seminate nel sangue
coltivate e mietute nel tempo di un breve battito
sotto il cielo, questo cielo, si inseminano lunghi richiami di voci le ombre
di carne tiepide come cenere dopo la notte.
www.thetisdesign.it
Cominciate, poeti, a spedire fogli di poesia
ai politici, gabellieri d’allegria,
a chi ha perso l’aria di studente spaesato
a chi ha svenduto lo stupore di un tempo
le ribalte del non previsto,
ai sindacalisti, ai capitani d’industria
ai capitani di qualcosa,
usate la loro stessa lingua
non pensate, promettete
…”disarmateli” se potete!
…………………………….
Fatevi disprezzare, dissentite quanto potete
fatevi un gazebo oblungo, amate
gli sciocchi artisti beoni, i buffoni
le loro rivolte senza senso
le tenerezze di morte, i cieli di prugna
le assolutezze, i desideri da violare, le risorse del corpo
i misteri di donna Catena.
Fate fogli di poesia, poeti
vendeteli per poche lire!
Dal Manifesto poetico di Antonio Leonardo Verri (Caprarica di Lecce, 22 febbraio 1949 – 9 maggio 1993)
Un articolo su A. L. Verri in www.monacoantonio.blogspot.it

Ne sentiva il respiro, così quieto. Solo a tratti si sfaceva in un sospiro affannato.
C’ è tempo, si disse. C’ è ancora tempo.
Ma sapeva che, a breve, l’ alba sarebbe filtrata attraverso le fessure degli scuri. Presto.
Aveva timore di ogni nuova alba. Di ogni nuovo giorno, perché sapeva che, alla fine, un giorno sarebbe sorto a toglierle una parte di lei. A lasciarla monca. E sentiva che il tempo si accorciava, come una corda sfilacciata fino al punto di rottura.
Raddrizzò le spalle. Lei era sempre stata una donna forte. Capace di far fronte alla vita. Alla fatica. Alla miseria. Alle infinite responsabilità. Lei.
Che venga, dunque, si disse dentro, quel giorno! che venga e mi lasci dimezzata. Io non cadrò a pezzi. Io gratterei la terra con le unghie e mangerei l’ erba del campo dietro casa e spezzerei la schiena a scavar radici, pur di evitarlo. Ma non servirebbe, a niente.
E allora lasciatemi riprendere e riporre al caldo, qui, nel palmo della mano, i miei tanti anni indietro e i miei ricordi, tesori di speranza e lavoro, di gioie e dolori: che altro è mai vivere, se non questa altalena costante?
Se lo disse in un sussurro, una donna forte e testarda, avvezza alla lotta.
Vagò indietro, socchiudendo gli occhi stanchissimi e duramente si impose il viaggio.
Gli anni passati lontani dal paese, emigranti, lui e lei, per un lavoro che permettesse loro di fare un po’ di soldi, il piccolo tesoro necessario a costruire la casa sul terreno dei loro vecchi. Una casa per tutti loro, che tutti li accogliesse. Anni felici, anni duri, e già arrivavano i figli, una piccola, poi un’ altra. C’ erano i rientri veloci al paese, dai genitori che ogni volta si facevano più anziani. Poi vennero i primi soldi da mandare a casa, perché si incominciasse a costruire e poi ci fu lui che scavava le fondamenta, e incominciava a tirar su i muri.
C’ era voluto tempo e una lunga lontananza, ma alla fine la casa fu terminata e loro ritornarono al paese, dove d’ inverno scendeva gelida l’ aria dalle montagne tutto intorno e il freddo si condensava sui vetri delle finestre nuove e lasciava ricami di brina.
Ma lei teneva accesa la fornella e scaldava i muri ancora umidi di pittura e cucinava e lavava e stirava e partoriva un altro figlio. Mentre lui lavorava alla fonderia fuori dal paese da mattina a sera.
Si scosse e si alzò dalla poltrona su cui aveva vegliato, la notte, e andò in cucina.
La fornella, si disse. Devo accenderla. Subito, prima che la casa diventi troppo fredda. Armeggiò con la legna e presto la fiamma brillò.
Conosceva così bene la casa, la disposizione di ogni mobile, di ogni singolo oggetto, che riusciva a muoversi al buio senza il minimo rumore, senza paura di inciampare o di far cadere a terra alcunché.
Presto farà caldo, si disse e tornò in camera si sedette di nuovo e riprese la loro storia fra le mani, sgranandola come grani di un rosario.
Le venivano alla mente cose da nulla, piccole faccende, gesti senza importanza e parole piene nella loro brevità. Non c’ era stato mai un qualche evento straordinario, si rese conto, qualcosa di travolgente e meraviglioso. Solo una vita comune. Eppure capì, lo capì di colpo, che ogni piccolo gesto, ogni scampolo di parola, ogni minima cosa, sommandosi gli uni alle altre, avevano formato, nel tempo, un miracolo. Che altro era stato il loro vivere insieme?
La volta che lui le aveva stretto la mano forte. Ce la facciamo. Fidati.
La volta che si erano guardati, senza parole e senza parole era entrati, fianco a fianco, nella casa appena finita.
La volta che la piccola aveva cominciato a camminare e andava incontro a lui che rientrava dal lavoro.
La volta che lui le disse: Tua madre non può star più da sola. Falla venire qui. Ci penso io, a lei.
Le infinite volte che…, tante da averne perso il conto. Frammenti che tutti si riaffacciavano in quell’ ora di fine notte, e bussavano, forte, alla porta, per essere accolti.
Perché? domandò. Se lo era chiesto spesso negli ultimi tempi. Perché? Mio Dio, c’ è tanta gente malvagia in giro, gente che ruba e ammazza, perché non ti sei preso uno di loro, invece di lasciarli vivere fino a diventare vecchi, perché?
Non riusciva a capire e sapeva che non lo avrebbe capito mai. Avrebbe accettato, questo sì, ma capito, no.
Lui si mosse appena.
Nora.
Sono qui.
Gli sfiorò il polso, pose la sua mano sulla mano di lui. Una mano grande. Buona.
Rimase ferma. Poi fu l’ alba, rosata. Entrò in punta di piedi nella stanza lasciando ditate delicate sul pavimento.
Nora sentì la mano di lui distendersi un attimo e un fremito di sangue le corse il ventre.
La mano ebbe un brivido. Breve. Niente altro.
Nel silenzio le sue dita si muovevano, accarezzando la mano di lui, percorrendo ogni dito dall’ attaccatura all’ unghia, uno alla volta. Così. A lungo. Finché non sentì esploderle dentro, nel petto, un ansito enorme che gridava e il senso dell’ amore, dell’ amore per lui, quasi la travolse, accecandola, togliendole il respiro. Fino a star male.
Ponendo il sigillo a ciò che era stato, perché niente andasse perduto.
Poi lentamente il mondo smise di girarle intorno, ogni cosa ritrovò il suo posto e lei rimise i piedi a terra, frastornata.
Quante cose dovrei fare, adesso! pensò.
Dovrei telefonare, si disse. Ai figli, certo. A chi, poi? ai parenti, agli amici, anche a quelli che, di fronte alle difficoltà, alla malattia, gli avevano girato le spalle? che si erano disinteressati di lui?
Anche a loro. Ma non adesso. Non me la sento. Perché quando avrò fatto il primo numero, ecco, allora tutto questo sarà vero. Un fatto concreto. Adesso è ancora solo un’ ipotesi di dolore, che posso gestire come una nuova intimità.
Perciò, no, non adesso. Siamo partiti insieme, io e lui. La chiudiamo insieme, io e lui, da soli, questa porta.
Così rimase lì, a contarsi e a contargli i perché e i per come dei giorni, finché non sentì aprirsi la porta d’ ingresso e la voce del figlio chiamare, sottovoce: Ma’? dove sei?
Solo allora si alzò. Dritta sulla schiena, andò in cucina, il figlio era davanti alla fornella rovente, le mani tese verso il calore.
E il giorno entrava a fiotti dalle finestre, era la luce opaca della fine inverno che già germogliava di semi e profumi di una primavera che lei avrebbe percorso pian piano, portandosi appresso ogni sua minima cosa, mantenendola fragrante come pane appena sfornato. Per tutto il tempo che ancora restava.
Dedicato a V., un uomo buono
9 Febbraio 2010

Luca della Robbia, Resurrezione, Santa Maria del Fiore, Firenze
cantano i petali
di primavera
canta l’ acqua
del ruscello
s’ inghirlanda di tepore
ogni zolla erbosa
il merlo ricompare
in gloria di nere piume – giallo il becco -
rinasce la terra – è la regola -
risorge il Cristo crocifisso – è questione di fede -
di primavera – ogni primavera -
addita lontano una
meta lontana
che al cuore s’ incardina
come spina che fiorisce.

Immagine di nino evola
le conto
le croci
innalzate sul mio personale Golgota
come alberi hanno messo radici
profonde a nutrirsi del sangue
se provo a contarle mi smarrisco
sono tante
le curo ogni giorno
lucido il legno
e se le mani si fanno piene di schegge
non conta
le mie croci risplendono luminose e pure
lavate dal dolore
in sentore d’ eterno.

in questa primavera precoce
che sgrana sole e nuvole ballerine
ho raccolto il respiro – l’ ultimo tuo -
nelle mani a coppa
l’ ho riposto, verde d’ erba e magnolia,
nel cassetto dei fiori fragranti
fra i tesori preziosi – i più preziosi -
gli indimenticabili amori.
Riposa dunque nel nido
che ti ho cucito filo a filo
nel freddo dell’ inverno
riposa al caldo, mio dolcissimo cuore.

Alex Andreev
s’ insinua
dolcissimo
il senso di perenne memoria
il filo di sangue che scorre
verde fragranza e dolorosa
di spine cucite alla palpebra insonne
luce chiara di ogni parola di ogni sorriso di ogni
passaggio insieme
s’ insinua nei lenti giorni
al lume fumoso del tempo
che resta
in - profumo – d’ assenza.

alex andreev-station
http://cartesensibili.wordpress.com/2012/02/20/avviso-ai-naviganti-leap-forward-un-balzo-in-avanti-world-poetry-movementmovimiento-mundiale-de-poesia/
Il (WPM) World Poetry Movement/Movimiento Mundiale de Poesia (MMP) è lieto di annunciare il prossimo grande evento mondiale chiamato:
A LEAP FORWARD
(UN BALZO IN AVANTI)
e avrà luogo OVUNQUE, giorno e notte, MERCOLEDI’, 29 FEBBRAIO 2012, il giorno che segna l’anno bisestile.
Il Comitato Organizzatore (Movimento internazionale di Poesia) WPM/MMP chiama a raccolta poeti, gruppi e associazioni coinvolte nel mondo della poesia di tutto il mondo, per iniziare ad organizzare eventi poetici nelle proprie zone, in città, cittadine e paesi, riuniti sotto un unico ombrello, e un con unico intento, dal titolo “Un balzo in avanti” A Leap Forward.
Per una pura coincidenza il movimento Occupay Wall Street è iniziato il 17 Settembre 2011 proprio mentre stavamo facendo l’appello per “Centomila poeti per cambiare”, l’evento organizzato dal WPM e che aveva già manifestato il 24 settembre dello scorso anno. E noi pensiamo che con il movimento Occupy Wall Street appena sbocciato e già diffuso in tutto il mondo “ci sia una poesia che deve essere scritta da tutta la gente del mondo” ed è piena di richieste di giustizia e di democrazia reale, e coinvolge tutti gli aspetti della vita, da quello economico a quello ecologico; e che sono parte integrante del WPM stesso, solo perchè essi sono parte della trama dei desideri della gente in ogni parte del mondo.
Eventi poetici che saranno balzi in avanti multipli e plurali, riuniti nel A Leap Forward, eventi con poeti che, negli anni scorsi dalla Tunisia all’ Egitto e al Wisconsin, solo per citarne alcuni, sono stati catalizzati da una ispirazione dinamica e hanno preso coscienza che il mondo era cresciuto a balzi e a rimbalzi, poeti che possono spiegare quei balzi appassionati come parte di un grande flusso di eventi nella giornata che segna l’anno bisestile del 2012, e che collettivamente muove l’intero mondo in avanti verso la democrazia per la quale stiamo morendo e che tutti noi vorremmo realizzata prima di morire.
Fateci sapere dove avrà luogo il vostro evento scrivendo a: [email protected]
Organizziamo il più grande evento di Poesia nella storia del mondo e il mondo farà un:
BALZO IN AVANTI
A LEAP FORWARD
CARTESENSIBILI APRE LE SUE STANZE A TUTTI COLORO CHE VOGLIONO ESSERCI E PARTECIPARE ALL’EVENTO POICHE’ ANCHE LA RETE E’ LUOGO DI INCONTRO TRA TUTTI I POETI E LE PERSONE DEL MONDO!
INVIATE I TESTI A
LI RACCOGLIEREMO E PUBBLICHEREMO MAN MANO CHE ARRIVERANNO
il giorno 29 febbraio



E’ morta ieri sera a Cracovia, all’eta’ di 88 anni, la poetessa e filologa polacca Wislawa Szymborska, premio Nobel per la letteratura nel 1996 ”per la capacita’ poetica che con ironica precisione permette al contesto storico e ambientale di venire alla luce in frammenti di umana realta”. Era nata nel 1923 a Kornik, cittadina vicino a Poznan. Con Czeslaw Milosz, anche lui premio Nobel, e Zbigniew Herbert, Szymborska faceva parte della triade dei grandi poeti contemporanei polacchi.
Scrivere un curriculum
Che cos’e’ necessario?
E’ necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.
A prescindere da quanto si e’ vissuto
e’ bene che il curriculum sia breve.
E’ d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e malcerti ricordi in date fisse.
Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.
Conta di piu’ chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all’estero.
L’appartenenza a un che, ma senza perche’.
Onorificenze senza motivazione.
Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.
Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.
Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa, che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l’orecchio in vista.
E’ la sua forma che conta, non cio’ che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.
(da “Vista con granello di sabbia”)