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Berlino, Il memoriale della Shoah
Fuga di morte di Paul Celan
Nero latte dell’alba lo beviamo la sera
lo beviamo a mezzogiorno e al mattino lo beviamo la notte beviamo e beviamo
scaviamo una tomba nell’aria là non si giace stretti
Nella casa abita un uomo che gioca con i serpenti che scrive
che scrive all’imbrunire in Germania i tuoi capelli d’oro Margarete
lo scrive ed esce dinanzi a casa e brillano le stelle e fischia ai suoi mastini
fischia ai suoi ebrei fa scavare una tomba nella terra
ci comanda ora suonate alla danza.
[…] Lui grida vangate più a fondo il terreno voi e voi cantate e suonate
impugna il ferro alla cintura lo brandisce i suoi occhi sono azzurri
spingete più a fondo le vanghe voi e voi continuate a suonare alla danza
[…] lui grida suonate più cupo i violini e salirete come fumo nell’aria
e avrete una tomba nelle nubi là non si giace stretti
[…] nella casa abita un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
aizza i suoi mastini contro di noi ci regala una tomba nell’aria […]
Immagine di Enzo Bellini
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il palmo alzato, un attimo di assoluto silenzio
raccolto nello sguardo
immensi orizzonti a perdersi in saecula saeculorum
rosse gocce sgranate come perle segnano il cammino
brevi parole e il gesto
il destino accettato
in orgoglio d’ umiltà
il Bimbo fu, granello di senape nel grembo
il Bimbo fu nella capanna di Betlemme.
Nel Natale in corsa fra comete sparse e candele ammiccanti
alla luce accecante dei sogni appesi ai rami degli alberi made in China
degli spot che spacciano per necessario il superfluo risibile
il bimbo nacque nasce e rinasce
nella stalla
nel tugurio
nel fango
nella carestia
nella guerra
Gloria in excelsis Deo
Pax in terra hominibus
bonae voluntatis
Bonae voluntatis.
Magia del Natale
in
due
parole.
Antonello da Messina, Annunciazione

Annuncio
mani leggere a tessere
fili in trame
di pensieri
aerei
Passo senz’ orma
al pozzo
l’ acqua canta nell’ ombra
in fragranza di palma.
S’ addensa la sera giovane
del mondo
richiami in voci soffici
dal passato.
E’ già futuro.
Sfogli la pagina del tempo
in un cenno
in un sospiro
una risposta
in occhi sorpresi
labbra che si schiudono
al mistero.

Immagine di Brooke Shaden
raccolgo in vuoti di concavi spazi
pensieri – dubbi in navigazione di lune sperse
sparse parole filano sabbia cenere calda risorge
giorni – tempo filtrato in mille clessidre
luce riflessa su cristalli —– l’ eco rifrange il suono di mille
vagiti si nasce e si rinasce sotto questo sole che
smuore pian piano
piano trasmigrando all’ orizzonte dell’ oltre - altrove da qui -
raccolgo nella pozza delle mani la luce lanterna e
fonte
sommersa che lenta riaffiora:
la mia radice beve.

Da Cartesensibili
Quest’anno, diversamente da quello precedente, non potendo proprio fare a meno di guardarci attorno, non potendo declinare le varie voci di indignazione e di richiamo da più parti del mondo che indicano come e quanto la miseria sia un indotto di un moderno colonialismo selvaggio e di una speculazione finanziaria che traduce il gioco sulle vite dei popoli e delle nazioni, in un profitto che è puro assommarsi di capitale monetario, si pensava di intitolare ”ASPETTANDO UN NATALE CHE RITARDA ” l’iniziativa che, anche quest’anno, si propone coinvolgendo però anche scrittori d’altre lingue, quindi non solo italiani come l’anno passato. Si è pensato inoltre che, oltre agli scrittori, sarebbe altrettanto un segno forte di collaborazione chiedere e avere il contributo dei numerosi artisti presenti anche su fb, anch’essi rappresentanti di un sentire incisivo, capace di amplificare quella nascita, nascita di una relazione nuova tra gli uomini della terra, capace di promuovere o presagire una natività che ancora tarda a mostrarsi. L’universo umano che ha in sé la possibilità di amplificare tutti gli altri, ospiti di ciascuna persona, avrebbe in questo esempio di collaborazione qualcosa da mostrare non come prodotto commerciale o commerciabile, ma come sostanza di una presa di coscienza in cui tutti siamo un paese che allarga la superficie di tutti quelli di questo pianeta, che ci è casa comune. Ciò che si desidererebbe portare e aprire è il proprio occhio in cui una specie di pidocchio ha punto il punto sensibile, quello capace di vedere con nitidezza ciò che oggi , in una inconcludente formula di potere, strozza la vita di interi paesi e popoli della terra. Poiché ci sembra che un simile lavoro di raccolta potrebbe essere davvero molto impegnativo, oltre che importante e numericamente consistente, e poiché crediamo che anche la raccolta dei singoli elementi possa essere, anche a livello di organizzazione, una dimostrazione della capacità di collaborazione tra i blog e i network, che non sono solo mere vetrine di false esibizioni, ciò che si richiede è anche la disponibilità di più blog a dichiararsi aperti all’accoglienza delle opere di cui parlavo, di farsi promotori anche nei siti stranieri per uno scambio da qui a là oltre che da lì a qui. Ciò che in politica sembra non essere possibile, sarebbe il frutto principale di un nuovo albero del pane che è il nascere nel seme di un sentire condiviso, per una farina che è l’essenza vitale di tutte le nostre storie, un bambino dopo l’altro come un solo molteplice ESSERE.
I testi, in ogni lingua o dialetto, con traduzione in italiano, e le immagini in jpg, possono essere inviati a [email protected] in attesa che anche altri blog si rendano disponibili per la raccolta. Ci auguriamo che siano molte le adesioni e gli invii. E’ comunque da ricordare che tutti i diritti d’autore resteranno sempre proprietà dell’ autore che se ne dichira detentore.
TERMINI E MODALITA’ D’INVIO:
Scadenza invio: entro le 12.30 del 20 dicembre 2011.
Numero versi: max 50
Immagini in jpg: max. 720 pixel, con la possibilità di vederle in formato maggiore
Modalità di pubblicazione: saranno pubblicati consecutivamente in post con i dati dei diversi autori e poi raccolti in quaderni e pubblicati prima di Natale per essere diffusi attraverso la rete.
( Qualunque testo lesivo del rispetto delle norme di pubblicazione in rete verrà d’ufficio eliminato.)
http://cartesensibili.wordpress.com/2011/11/12/aspettando-un-natale-che-ritarda/#wpl-likebox

Fotografia di George Hoyningen Huene
l’ altrove è una linea spessa tesa di corde attorcigliate
nebbiosa soglia approdo di significati
indecifrabili
- le stelle appena (sog)nate -
parola di terra fonda fremente di radici vive
speranza svaporata in
giochi di parole sensi diluiti in mari senza sale
lungo il filo della follia che sanguina la carne e
crolla ogni difesa
l’ altrove è il punto minimo
su cui fermarsi in equilibrio sulla punta del piede.
Senza ritorno
il grido va alla deriva
- senza confine é l’ oceano della vita -
alla deriva verso sponde di miracoli
altrove senza sapere dove
altrove senza ritorno al mondo stretto
delle cose
senza futuro.

Immagine di Robinya
Anche quel giorno incominciò con il suo bravo ” niente di nuovo sul fronte occidentale” e neppure, ad essere onesti, sugli altri fronti. Tutto di vecchio, anzi. La solita sveglia compì il suo dovere di sveglia, scaraventandomi fuori dal sonno che poi non era un gran bel sonno, ma sempre qualcosa di simile al riposo, o perlomeno all’ assenza di pensiero con quel che pensare si porta appresso. Come da regola allungai la mano a farla tacere, e come da copione mi alzai, immusonito e risentito. Erano già le sette. Solo le sette. Passai in bagno. Andai in cucina. Il rituale dell’ appena alzato ebbe così inizio. Caffettiera sul fornello. La voce del notiziario in sottofondo. Non che neanche lì, nelle news del TG, ci fosse qualcosa di extra. Era la solita menata: incidenti in tutti i paesi del mondo o quasi, borse in calo, previsioni sul futuro della global finance da far stramazzare un elefante, figurarsi un piccolo investitore come me, e poi cronaca nera, un altro omicidio – la polizia è sulle tracce dell’ assassino -, un’ altra villa svaligiata – la polizia indaga -, un barbone morto di freddo – pare – trovato fra i suoi cartoni, una delizia di dejà vu, insomma.
Intanto il caffè gorgoglia. Lo verso. Buono. Quasi quasi mi lascio andare ad un istante di godimento papillare. Non c’ è tempo. Rasatura. Mi taglio o non mi taglio? Decido per il non. Uso il rasoio elettrico, vecchio ma tranquillo. Dopobarba da ipermercato reparto profumeria. E se facessi un colpo di vita e me ne comprassi un flacone di quelli veri? Super, dico.
Pantaloni, camicia, cravatta a nodo scorsoio – uno di questi giorni finisce che mi ci impicco con una cravatta -, giacca di tweed. Soprabito? Impermeabile? Che aria tira fuori? Occhieggio di sbieco la finestra. Mica ne ho voglia di aprire i vetri e saggiare l’ aria. Anche perché prima dovrei tirare su le tapparelle e quella della camera ha il nastro rotto e non si può.
Che poi io abbia un cattivo rapporto con i nastri delle tapparelle che mi si rompono all’ improvviso e con frequenza demoniaca, lasciandomi nell’ oscurità, è un dato di fatto. Casa mia pare una scacchiera: stanza al buio per tapparella ingestibile, stanza piene di luce per tapparella rimasta inchiavardata in alto e così via. Quando avrò tempo e voglia le riparerò.
Fino ad allora, che mi frega? Mica si vive di tapparelle.
Guardo il soprabito. L’ impermeabile. Li mando entrambi a quel paese.
Acchiappo la borsa con il power book, è il mio lavoro vivere in simbiosi con i computer.
Esco in giacca. E fuori c’ è un freddo birichino, direbbe quella brava donna di mia madre, sempre fine, lei. Casa tirata al burro, la sua. Quando entri ti fa cambiare le scarpe,. Praticamente ti infila le ciabatte, lei. Le sue tapparelle stanno al loro posto. Le ha educate bene, lei.
Il freddo mi strina la faccia che già mi brucicchia per il dopobarba. Mi penetra sotto le maniche della giacca, mi scava sotto la camicia, mi pizzica la pelle. Mi sento l’ occhio torvo. Torvamente apro la portiera dell’ auto. Dentro c’ è ancora più freddo, pare impossibile. Il lunotto e il parabrezza sono coperti da un leggero strato di ghiaccio. Sbrinamento. Si sta facendo tardi. Scaldo il motore. Dallo scappamento vedo uscire una folata bianca. Insomma è un inverno da far schifo. Cambia qualcosa per me? Inverno o estate, dico. Non cambia niente.
Eppure dovrebbe.
Cambiare qualcosa, un pelo solo, magari.
E se non cambia niente è colpa mia. Mica di un altro.
Mica di mia madre. Mica della vita.
Sono io che sono un fesso.
Lo sbrinatore fa il suo dovere, il ghiaccio si sta sciogliendo. Si aprono chiazze trasparenti e umide sul parabrezza e intravedo gambe in movimento, auto che passano, gesti frettolosi di gente infreddolita. Sento un clacson impaziente. Il solito fiume che scorre ogni mattina verso il lavoro, ininterrotto, di corsa, perennemente in ritardo, perennemente sull’ incazzato, poche speranze, sempre meno sogni, salvarne uno è già un successo, e poi l’ ufficio, la fabbrica, i colleghi stronzi anzichenò, il boss che spacca, pretese…
pretese di puntualità
d’ efficienza
di affidabilità
di onestà
di abnegazione, perché no?
Ma io? Io, io, io, porco di un mondo ladro, io vorrei un po’ d’ aria.
Si soffoca in auto, adesso. Abbasso il riscaldamento – quando l’ ho acceso non ricordo e non mi importa -, ingrano la retro e vado. Sparcheggio. Rapido.
Il botto mi prende alla sprovvista. Ho dato dentro al cassonetto del rusco dietro a me. Il cassonetto rimbalza. Sussulta. Un ragazzo si ferma e guarda.
” Vuoi qualcosa?” gli faccio. Se ne va.
Prima, freccia, cerco di inserirmi nel traffico. Ci ripenso. Retro. Tampono di nuovo, di brutto, coscienziosamente, il cassonetto. E che nessuno mi chieda il perché. Son cazzi miei.

Sono carta fittamente
scritta
lettera spedita
ancorata alle mani
distanze di pensieri inseguiti
ricongiunti all’ occhio
muto
per dire ancora e ancora
di nuovo
parole dire.

Immagine da http://www.marotochi.it/
Dedicata all’ oggi dove ogni cosa pare – a tratti e di continuo – sprofondare nel vuoto
“La patria di un uomo che può scegliere é là dove arrivano le nubi più vaste”
A. Malraux
André Malraux, scrittore e uomo politico, é autore, fra l’ altro, dei romanzi:
La condition humaine, 1933 (vincitore del Prix Goncourt)
L’ Espoir, 1937

a ciò che resta del mio tempo
per me chiedo
un posto ai piedi dell’ abete
nell’ ombra breve dell’ estate
- farmi resina del tronco corteccia ruvida
linfa linea della vita -
per me chiedo aria aperta in
sentore di selvatico
il gusto dell’ erba sotto le dita il silenzio della terra dentro l’ occhio
per me chiedo di
(af)fondare i piedi nel morbido del muschio
ancorarmi profondamente
io abete resina erba terra
il mio sangue è un fiume verdeggiante.
Come questo mio ruscello fra sponde strette
limpido freschissimo chiacchiericcio
di sasso in sasso scrosciante a valle.

Trasmutando aereo
l’ occhio è rivolto all’ oltre
fioritura di farfalle
in un unico gesto
un’ unica mano
basta a far luce alle dita
al graffio quotidiano che
essenze concilia mutilate
Mi pongo sul palmo della mano.